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Le paure dei bambini: disarmarle in 5 mosse

Il tema è complesso e delicato, sia perché i bambini sono molto diversi l’uno dall’altro, sia perché le loro paure dipendono in larga misura dal nostro comportamento. Vediamo allora come possiamo affrontare in maniera coerente ed efficace alle paure dei nostri bambini.

1. LA PAURA E’ SOPRAVVIVENZA. E’ importante ricordare che la paura non va considerata solo come qualcosa di negativo: è funzionale, ci mette in stato di allerta e ci induce ad affrontare le cose e le persone con precauzione. La paura è un punto di passaggio quasi obbligato per lo sviluppo di un atteggiamento di esplorazione attiva, accompagnato però da uno sguardo attento e consapevole.

2. NON C’E’ DA AVER PAURA. Non allarmiamoci sempre, se nostro figlio mostra di avere delle paure. In genere si tratta di paure transitorie, che possono durare da qualche ora a qualche giorno, magari rendere difficile l’addormentamento la sera, ma che, come nel caso delle storie di paura, possono avere anche un effetto vaccinante, soprattutto se l’adulto è lì vicino e se ne può parlare insieme. Le cosiddette paure universali infatti permangono fino a quando il bambino non ha sviluppato mezzi sufficienti per difendersi dai potenziali pericoli. Tali sono, per esempio: la paura di cadere, la paura del buio, la paura dei rumori forti ed improvvisi, la paura dell’acqua alta, la paura degli estranei, la paura di rimanere solo.

3. INDIVIDUARE QUANDO LA PAURA DIVENTA UN OSTACOLO. La paura diviene un problema in quattro casi:

– quando certe paure universali perdurano oltre l’epoca giusta

– quando, anche al di fuori del campo delle paure universali, non si sviluppa in misura sufficiente la capacità di far fronte a una situazione/oggetto che vanno in ogni caso affrontati (es. una scala ripida, un paio di forbici)

– quando una certa paura, in sé giustificata, diventa troppo intensa, così che le contromisure messe in atto diventano troppo deboli

– quando compaiono e perdurano paure apparentemente inspiegabili, perché non universali, né dovute ad un’esperienza passata specifica, né giustificate da una pericolosità reale.

4. COSA NON FARE.

– innanzitutto dobbiamo fare molta attenzione quando, mossi da intenzioni educative, siamo noi stessi a suscitare delle paure. All’idea di pericolo devono venire associate spesso quelle di coraggio e prudenza, non ulteriori idee di rischio e timore.

– dovremmo poi imparare a non suscitare delle paure che non sono utili al bambino ma servono soltanto a noi, nel senso che ci garantiscono un’ubbidienza immediata (non andare in cantina perché li vive la strega cattiva, ecc.).

– Davanti alle paure universali non dovremmo essere impazienti e forzare un processo che ha i suoi tempi. Non trascineremo il bambino, nonostante le sue resistenze, in cima a una scala. Si tratta di attendere la maturazione che provvederà ad attenuare/cancellare queste paure.

5. COSA POSSIAMO FARE

– se ci troviamo di fronte a paure immotivate indotte dall’esperienza che il bambino non riesce a superare nemmeno attraverso un atteggiamento prudente (es. è caduto dalla giostra al parco e ora non vuole più risalirci), dovremmo con pazienza e senza forzare troppo, favorire un graduale riavvicinamento all’oggetto che ha provocato la paura.

– nelle situazioni in cui nostro figlio manifesta un’emozione troppo intensa e una paura che lo blocca (interrogazioni, visite mediche, dentista, iniezione,..) possiamo vaccinarlo come si accennava sopra, riproducendo in casa, per gioco, le corrispondenti situazioni e mostrargli come fare per temere un po’ meno quella situazione.

– abbiamo poi la necessità di informare le persone che vivono nostro figlio (allenatore, insegnante, tata, nonni,..) dell’eccessiva emotività del bambino, perché procedano con gradualità, rassicurandolo ed incoraggiandolo a provare.

– se infine ci troviamo di fronte a paure strane, immotivate, che resistono alla graduale esposizione ed ostacolano l’attività quotidiana, non ignoriamo il problema, ma rivolgiamoci ad un esperto che possa aiutarci a capire cosa sta succedendo e come affrontare il problema.

Bibliografia

B.Petter, Il mestiere di genitore, 2013

G. Cappello, Crescere e far crescere, 2007

La dottoressa Francesca Rosa è Psicologa Clinica, Psicoterapeuta, Specialista per l’Età Evolutiva.
E’ iscritta alla sezione A dell’Albo dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia col n. 03/12623.
Si laurea in Psicologia Clinica e Neuropsicologia con lode nel 2007 presso l’Università di Milano-Bicocca e successivamente prosegue la formazione clinica quadriennale nella Scuola di Psicoterapia Psicoanalitica dell’Istituto di Psicoterapia del Bambino e dell’Adolescente PSIBA, Milano.

Ha conseguito il master in valutazione, diagnosi, trattamento e prevenzione dei Disturbi dell’Apprendimento (DSA), presso l’Istituto di Psicologia Scolastica di Milano . La dottoressa Rosa ha l’abilitazione ad effettuare diagnosi certificate di DSA ed è la referente dell’equipe n. 59 inserita dall’ASST Settelaghi nell’elenco dei certificatori delle diagnosi di DSA, e ha effettuato consulenze presso l’Unità Operativa di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (UONPIA) dell’Ospedale di Circolo di Busto Arsizio – distaccamento di Fagnano Olona.
Esercita la libera professione a Gallarate, nel Centro Clinico Mandorlo Bianco, dove svolge attività di consultazione psicodiagnostica ed interventi di sostegno psicologico e psicoterapeutico rivolte a bambini ad adolescenti, coppie genitoriali e famiglie. Si occupa inoltre di psicoterapia per adulti e giovani adulti.
Presso le scuola dell’infanzia del territorio, in collaborazione con un pedagogista clinico, conduce laboratori ed incontri per insegnanti e genitori dei bambini dai 3 ai 6 anni sulle tematiche di interesse comune (il gioco, le lettura, la nanna, il momento della pappa, il passaggio scuola dell’infanzia-scuola primaria, l’inserimento alla scuola dell’infanzia, l’iperattività, i DSA, …).
La dottoressa Rosa ha, infine, conseguito la formazione completa (I e II livello) del metodo psicoterapeutico strutturato EMDR, che facilita il trattamento di psicopatologie e problemi legati ad eventi traumatici diretti o indiretti. Conduce, mensilmente, gruppi di sostegno per l’elaborazione del lutto.

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